Staccando l'ombra da terra

Autore: Daniele Del Giudice

 

Giudizio: ****

 

La prima trasformazione consiste nel passaggio da tram ad aereo. Il volo accompagna l'umanità da sempre attraverso la mente. E, fino a che la tecnica non ce lo ha consentito, volare è stata un'esplorazione che ha attraversato il sogno e l'immaginazione. Ma da quando l'aereo è diventato concreto mezzo di volo è subentrato il passaggio cruciale: non essere più aereo, ma diventare pilota.

 

L'apprendistato al volo si consolida tra i silenzi eloquenti di un maestro taciturno che legge le nuvole come un aruspice per predirne evoluzione e sviluppo, le letture della manualistica per avere statisticamente riscontro di quello che si deve e si può fare in volo e la sorpresa, in quel giorno improbabile, di trovarsi da solo in cabina senza l'istruttore. Pensare in quel momento che lo spazio per staccarsi da terra è quello delimitato dalla pista, provare i freni perché se non funzionassero a dovere il rientro sarebbe catastrofico, dimenticare un passaggio fondamentale e staccarsi da terra molto tardi, ma non troppo tardi. La volontà di decollare supera la paura di non riuscire. Ed una volta in cielo, volare con il fardello del controllo, ma non senza pensare al rientro sulla terra. Le scelte di in pilota sono tutte scelte irreversibili.

 

Siano lodate le check list, il può breve e finzionale manuale di volo, e siano lodati gli strumenti di bordo quando la visibilità non fa distinguere il cielo dalla terra ed il pilota non capisce se sta procedendo dritto o inclinato. Tutto questo a patto che il pilota scelga di fidarsi. E siano lodate le torri di controllo che guidano, anche nella completa "cecità" del pilota, al punto di atterraggio.

 

Il volo è per sua natura errare, nel senso di muoversi più o meno liberamente nel cielo e commettere errori indipendenti dalla propria volontà. Il ghiaccio che si forma sulle ali, lo stallo al quale segue una vertiginosa ed irrefrenabile picchiata, l'azione di guerra che necessita la precisione assoluta del rilascio del siluro perché se sganciato troppo presto consentirebbe alla nave di evitarlo e se sganciato troppo tardi troverebbe pilota ed equipaggio nel caos dell'esplosione. Non sapere cosa è successo perché solo i pezzi della carlinga dell'aereo inabissato sanno esattamente dell'accaduto e ricomporre la struttura perché i periti possano vedere, analizzare, valutare, non è come far andare a ritroso un filmato nel quale le schegge di una bottiglia esplosa si ricompongono ognuna al proprio posto. Ciò che accade su un aereo è irreversibile. Infine essere in volo il giorno sbagliato, trovarsi nel luogo sbagliato, tardare il rientro e lasciare i sopravvissuti nell'ignoranza di non saper dire cosa è accaduto, si può solo ipotizzare e non sarà mai abbastanza vero, tanto quanto è vero che il pilota ha fatto tutto ciò che doveva fare: non è bastato e questo basta.

 

Il filo conduttore che passa da eventi meteorologici a descrizioni di azioni di guerra, da inspiegati inabissamenti a serene passeggiate nel cielo, si trova nell'inevitabilità dell'errore. Come nella vita con i piedi per terra ed anche nell'ipotesi che si è fatta la cosa migliore che si doveva e poteva fare, quello che cambia è che l'errore in cielo arriva a conclusione in pochi istanti. Il cruccio dell'autore è che l'errore riguardi anche altre persone, ma questo è vero pure per chi tiene i piedi per terra, sono solo i tempi degli effetti che si dilatano. Poi c'è l'amore per il volo che è l'amore per quella vita.