Trilogia della città di K.

Autrice: Agota Kristof

 

Giudizio: *****

 

La sofferenza, che dipenda dall'intimo della persona o che provenga da fuori, è la dimensione della vita nella quale si può anche pensare, e credere, di essere stati felici e di non essere stati soli: soffrire perché si è persa la felicità, esile e misera come può esserla durante una guerra, e soffrire nella solitudine perché questa non è vita, è l'esilio dalla vita.

 

Le tre parti in cui è composto il libro sono essenziali l'una all'altra. Se è vero che ogni parte può essere letta separatamente, se è vero che è possibile leggere le singole parti come libri a sé stanti, anche in ordine diverso rispetto a quello proposto, se è vero che la trilogia può non essere terminata, è pure vero che la lettura complessiva nella sequenza proposta conduce allo stupore dell'inaspettato a partire dal degrado dell'atteso: la guerra ed una famiglia separata.

Due bambini che sono un solo bambino, per provenienza e per fisionomia, due bambini che crescono nonostante la guerra e la vita, due bambini che sanno svincolarsi dagli affetti familiari ed orientarsi nel mondo, ma non sanno liberarsi l'uno dell'altro, due uomini dispersi in una trama familiare che li ha sopraffatti o soggiogati.

 

È da non credere a cosa possa condurre la guerra. È da non credere a come possano ridursi, ed elevarsi, i rapporti umani e familiari. È da non credere a come i sentimenti umani siano sfidati nella vita che muta senza mutare: prima prigionieri del nemico e poi prigionieri del liberatore, prima complice del fratello e poi fuggiasco dal fratello. 

 

Le vicende narrate sono sfuggenti quanto basta per crederle crudeli ed allo stesso tempo ordinarie. Il dolore attraversa le pagine senza lasciare spazio alla tristezza, se non a quella del lettore. Eppure anche il lettore potrà essere appagato dal capire senza capire perché tutto sfugge a qualsiasi consuetudine. È una storia amorale ed umorale nella quale giusto e sbagliato si rincorrono scambiandosi i ruoli: non ci si può fermare nel credere al giusto ed allo sbagliato, si deve provare a vivere.