Autore: Giorgio Falco
Giudizio: ***
Sulla vicenda narrata aleggiano la categoria del giusto e dello sbagliato: sarebbe giusto, ma per me è sbagliato perché io cerco e desidero altro, è sbagliato, ma non posso fare altrimenti, per
il momento. È così che il protagonista si trova schiacciato tra la vita del padre, integerrimo, lavoratore serio, coscienzioso e felice (per quanto possa essere felice chi si deve alzare tutte le
mattine alle 3.30), e la sua vita colma di dubbi, ripensamenti, aspirazioni, accettazioni, che si trascina irrisolta anche per la mai nascosta aspirazione che appare marginale, perché resta
svalutata da tutto il contesto.
Il protagonista, studente prima e lavoratore poi, è trasportato da flussi economici e di infelicità diffusa, che cozzano in lavoretti inappaganti in un momento storico che non dà più la risposta
che trovò il padre. Sono tentativi che sbattono negli annunci di lavoro in cui si descrive l'ossimoro della ricerca del candidato giovane, ma con esperienza, ovvero del colloquio in cui sei
troppo giovane per essere apprezzabile.
Per molti di coloro che sono nati tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70 è la narrazione di un percorso esistenziale che separò l'impiego sicuro del genitore padre (molte madri
erano casalinghe) dall'esistenza con un impiego incerto, mal pagato e marginale in una società profondamente mutata. L'impiego nel quale il lavoratore ogni giorno vive una condizione nella quale
può pensare, con ragionevolezza, "ora faccio questo lavoro, ma poi troverò altro". In realtà quella condizione sedimenta e tiene il lavoratore ancorato in un cubicolo per vent'anni senza
ipotizzare una via di uscita se non come una sconfitta.
La storia rappresenta uno spaccato algido, privo di una denuncia violenta se non quella di descrivere lo spaccato sociale che è la sconfitta. Un'idea di società che non trova più riscontri
assertivi, ma solo l'ineludibile ripiegamento su sé stessa, e di ogni suo componente per ciò che gli compete, consapevole od inconsapevole che sia.