Autore: John McPhee
Giudizio: ****
Guardare una partita di tennis e scoprire che il tennis contiene tutto il mondo pur essendone contenuto.
Due atleti, superbi, giovani, maestosi, dilettanti, si giocano l'accesso alla finale del torneo di Forrest Hills, il primo US Open della storia. Sono divisi da una rete, dal colore della pelle,
dalla provenienza e condividono la maestria per il tennis, la nazionale USA di Coppa Davis ed il pensare da tennista. Chi li guarda allarga lo sguardo e li riprende nelle (poche) debolezze e
nelle (inesauribili) forze sul campo di gioco. Rincorrere la palla per costringere all'errore l'altro non sempre è una questione di forza bruta, spesso è una questione di sensibilità nello
sfruttare le caratteristiche dell'avversario che lo inducono all'errore per l'indole innata all'irruenza anche se inutile e gratuita. Un'astuzia a cui ricorri quando riesci a trattenerti dal
giocare il colpo impossibile a cui nessuno riesce a credere, nemmeno avendolo visto.
Una partita rivissuta in televisione, anni dopo, ed accompagnata dai commenti dei protagonisti che rivivono il gioco, ma anche il contesto e la storia che li ha condotti a quel gioco. Non c'è
nulla di casuale anche se nulla è precostituito. Tutto scorre in un copione non scritto che esiste anche se nessuno ne conosce le battute. Quello hai fatto perché quello deveva essere fatto,
altre scelte, per vincere, non erano date.
Una partita commentata punto su punto. Un'operazione apparentemente noiosa che nulla ha di noioso. Ogni colpo, ogni azione, anche la più scontata come un lob giocato per far colpire
all'avversario la palla contro sole, è la soluzione del gioco, è il colpo vincente. La meccanica del servizio, la potenza del dritto, la fluidità e varietà del rovescio non sono caratteristiche
di semplice efficienza, ma dinamica della bellezza del gioco. Domina la lucidità di chi riesce ad avere il controllo della dinamica, di chi riesce a reagire ributtando al di là della rete la
palla una volta di più. L'ultimo colpo è definitivo, nel bene e nel male.
I due sono amici, nonostante la rete che li divide, nonostante la vita che li separa. Restano amici perché per loro non può essere diversamente. Per altri, dopo, non sarà più così. I sontuosi
gesti bianchi saranno sempre meno bianchi e sempre più oscurati dalla necessità mediatica di annichilire l'avversario anche attraverso il latente autismo che pervade il tennista: solo, sempre
solo, fortissimamente solo. I due sono Arthur Ashe e Clark Graebner: il primo esile e geniale, il secondo roccioso e potente. Una partita non più memorabile di altre, ma certamente una partita
memorabile.
Due appendici curiose raccontano di come non sia possibile l'esistenza di Wimbledon senza un artigiano della cura dell'erba e di come il tennis bianco si sia perso per strada sbattendo contro
personaggi autistici (Connors), istrionici (Nastase), irriverenti (McEnroe). Ovviamente tutti grandissimi campioni, ma che hanno fatto emergere le loro vittorie tennistiche non solo per il gesto
atletico, ma per una mordace voglia di emergere a tutti i costi, prescindendo dal tennis stesso.
Proprio Grabner è protagonista di uno scontro fisico con il rumeno Nastase che viene preso per il collo e minacciato per il comportamento che stava avendo sul campo: Nastase si ritira in quanto
non si sente fisicamente al sicuro su quel campo di gioco.
Con lo stesso Nastase sarà Ashe a subire una serie di sfottò politicamente scorretti sul colore della pelle ed all'ennesimo atteggiamento irriguardoso di Nastase Ashe esplode ed abbandona il
campo di gioco. Nastase è squalificato per condotta antisportiva, ma recupera la paziente sopportazione di Ashe recapitandogli a mano un mazzo di rose bianche, gialle e rosse accompagnate da
tante scuse.
L'incorreggibile Nastase è lo stesso giocatore che, agli albori della straordinaria carriera di McEnroe, durante un incontro con l'arrogante ventenne americano, si rivolge al giudice di gara in
questo modo: "Mr. McEnroe keeps calling me son of a bitch. Could you ask him to call me Mr. son of a bitch, please?"
Il tennis ingloba il mondo che lo circonda.