Estate del 1990. Ormai non giocavo più a tennis con il necessario impegno da più di 3 anni. Era tutto finito senza rumore e senza rimpianti. Rimaneva una fraterna amicizia con questo sport e tutta l'aneddotica del caso: ma ti ricordi quella palla corta in contro tempo mentre stavi scivolando? E quel rovescio incrociato di contro balzo? E quella volè in tuffo? Ok, tutta roba da anziano il sabato pomeriggio al bar sport, ma capace di tenere in vita un rapporto ideal-amicale. L'amore struggente, che da bambino ti fa giocare anche contro un muro, era definitivamente svanito.
In questa ideale amicizia mi ero concesso solo alcune fugaci divagazioni sul tennis vissuto in presa diretta alle Quartieriadi, organizzate dal comune di Modena, e
l'immancabile partecipazione al torneo di Palagano. La storia aveva seguito il suo naturale corso e archiviava la pratica della mia "carriera agonistica" al superamento dei 16 anni di vita.
Infatti se vali qualcosa, e non necessariamente per diventare professionista, a quell'età devi fare un salto di qualità. Per me il salto non c'era stato, nemmeno infinitesimale. Nel momento in
cui un giocatore potrebbe iniziare a raccogliere i frutti dalle fatiche e dalla noia dei monotoni allenamenti in cui è stato costretto per ore a tirare ripetutamente ed ossessivamente lo stesso
colpo, io ero ancora lì a pensare perché il braccio non rispondeva come mi sarei atteso. E nel frattempo le partite finivano e vincevo solo se ero nettamente superiore. La bagarre mi tagliava le
gambe, perché non avevo la capacità di attingere a quel serbatoio di automatismi che nascono dalle ripetizioni infinite di movimenti e che spesso salvava tanti compagni con qualità tennistiche
inferiori alle mie. Quindi, dopo i 16 anni, solo briciole insapori alle Quartieriadi ed a Palagano.
Quest'ultimo paese si era dimostrato tanto generoso nei miei confronti che in quegli anni mi adottava come maestro per i villeggianti nel periodo che va da luglio ad agosto. Certo generosità interessata, visto che non si erano trovati altri volontari. Io, riconoscente, alla mia prima esperienza di potenziale forgiatore di anime tennistiche mi trovo con grande imbarazzo a fronteggiare la situazione inaspettata: come spiegare il concetto di rovescio ad una bambina che piuttosto che colpire di rovescio cambiava mano e faceva il dritto con il braccio sinistro? Peraltro con risultati comparabili a quelli ottenuti con il braccio destro! :-/ Questo rese il mio addio al tennis meno traumatico, perché il dilemma filosofico ha il pregio di tenere viva la passione per l'oggetto che stai scrutando: il tennis.
I miei risultati, sportivi e filosofici, erano quindi scesi a poco più che il nulla, che coincideva con il "buco nero tennistico" che ingoia le racchette, i calzoncini e le palline, ma salva e lascia libere nell'"Universo della cameretta" magliette e scarpette, perché ancora utilizzate per i momenti di socializzazione anche privi di tennis. Questa pace dei sensi da assenza all'agonismo tennistico ti pervade anche quando le sensazioni del braccio fossero assai positive. Sensazioni che negli anni precedenti ti avrebbero galvanizzato per la partita successiva ora ti convincono che, seppur allentate le corde, non val la pena di incordare di nuovo la racchetta perché sarai comunque in grado di reggere gli scambi con la bimba ambidestra con la quale non riesci a venire a capo di capitali dualismi storici, filosofici, politici, morali: dritto/rovescio, destra/sinistra, giusto/sbagliato.
Nota.
Il braccio è solo una componente e non è necessariamente la più importante. Aaarrrggghhhh, eresia!!! Non voglio credere di aver scritto e non solo pensato cotanta blasfema affermazione. Però, però, però,... gli automatismi a tua insaputa e senza far rumore entrano pesantemente nel tuo gioco e diventano ancore di salvezza quando, nel bel mezzo di un match, ti trovi spaesato e senza certezze sul come venire a capo del ragazzo che si trova dall'altra parte della rete. E per fortuna che ti puoi aggrappare al colpo che ti viene in automatico senza doverci pensare. Non dover pensare ti fa rifiatare, ti garantisce una pausa mentale utilissima per risparmiare energie per lo sprint che dovrai fare per conquistare i punti più importanti, che non sono necessariamente gli ultimi. Infatti non si spiegherebbe come alcuni giocatori siano diventati addirittura numero 1 al mondo senza poter utilizzare la giustificazione di un serbatoio di colpi automatici più capiente rispetto all'eclettismo di campioni più campioni, ma con serbatoi di automatismi più limitati. Volete qualche nome? :-)
Nell'estate del 1986 fui chiamato alle Quartieriadi dal capitano non giocatore, incidentalmente mio padre, come soluzione tappabuchi. Escluso qualsiasi tipo di nepotismo, uscito dal gruppo under 16 non ero competitivo con i titolari senior e quindi non c'era posto per me in squadra, se non come rimpiazzo occasionale. E rimpiazzo fu.
Mi ritrovai in un doppio misto contro il quartiere Buon Pastore. Vinsi la partita da solo facendo coppia con una signora di una sessantina di anni che non aveva la minima idea di cosa significasse giocare a tennis con lo scopo di fare punto.
Non c'era né malizia, né cinismo nella costruzione del suo gioco, lei interpretava il tennis come un delizioso passatempo il cui obiettivo era scambiarsi amorevolmente la palla. Pareva dire "Gradisce ancora?", aspettandosi come risposta "O certo, grazie!", per proseguire con un interlocutorio "Ma si serva, si serva, non faccia complimenti..." che portava direttamente al punto di partenza. Questa dialettica circolare però non si addice ad un campo da tennis dove si è più rudi, meno gentili e si tende a portare a termine lo scambio, possibilmente a proprio vantaggio, con ogni mezzo.
Il suo comportamento pareva invece sintonizzato sull'obiettivo di garantire la prosecuzione dello scambio, possibilmente ad oltranza, sulla base di uno sviluppo estetico dei necessari sincronismi dei movimenti dei 4 atleti in campo. Peraltro, con profondo rammarico della mia compagna, io non riuscivo nemmeno a darle del tu, cosa che rendeva ancora meno gradevole, dal suo punto di vista, lo sviluppo della nostra coppia assortita casualmente ed all'ultimo minuto.
Mi ero fatto l'idea che per lei il colpo risolutore, quello che impediva agli avversari di rispondere, sembrasse offensivo, scortese e non facesse parte della sua filosofia tennistica. Quindi non lo infliggeva al ragazzo ed alla ragazza che si trovavano dall'altra parte della rete se non costretta dagli eventi. E comunque nella malaugurata ipotesi in cui si manifestasse questa soluzione terminale, la signora appariva visibilmente dispiaciuta. Non riusciva a celare il travaglio interiore a cui la vita reale su un campo da tennis la conduceva. Percepivo chiaramente che per lei discostarsi in modo tanto traumatico dall'idea gioiosa ed idilliaca di un tennis "innocuo e senza dolore" fosse contrario alla cortesia. "Signori, accomodatevi, il the è servito!".
Era la persona con il minor senso di agonismo presente in polisportiva in quel momento. Quando vagolava per il campo in modo agonisticamente improduttivo, cercando di collocarsi nella posizione esteticamente più consona allo sviluppo della trama di gioco, era evidente a tutti che non sarebbe mai stata in grado, in nessun momento, di maturare una reale e concreta volontà di fare il punto.
Per me, che da questo punto di vista ero secondo solo a lei, la questione nascondeva una brutta notizia: io e lei ci trovavamo entrambi dalla stessa parte del campo ed almeno uno dei due avrebbe dovuto fare la parte del "cattivo", se volevamo vincere. Era quindi palese che avevo vinto io il sorteggio del cattivo di San Faustino. Almeno ci dovevo provare.
E cattivo fu! Le rubai inopinatamente tutto lo spazio che potevo, in ogni occasione possibile, con la maggior rapidità. Cercavo di non risultare eccessivamente insolente, ma ad ogni azione correvo il rischio massimo per il bene supremo: conquistare il punto. Lei ebbe il pregio di comprendere, nonostante la sua filosofia, il perché di queste mie arroganti invasioni: smontavo sistematicamente l'estetica del suo doppio a beneficio di una enfatizzazione di bruta prova di forza, ma in fondo ero un buon giovane e mi perdonava. Quindi contribuì a suo modo anche lei rinchiudendosi dentro al suo angolo e, nonostante la sua concezione del gioco fosse molto lontana dal cercare di vincere, alla fine "insieme" uscimmo dal campo con il risultato della vittoria.
Mentre stavo sistemando le racchette mi si presentò una ragazza che era tra il pubblico: voleva farmi i complimenti. Uau! Non mi era mai successo! Essere "cattivi" conduceva a questi risultati? Ovviamente no e lo capii 30 secondi dopo. Questa ragazza avrebbe dovuto fare coppia con me in questo doppio, ma aveva dato forfait per un dolore alla spalla ed aveva rimediato procurando un'amica della mamma. Comprendeva l'estrema fatica che mi era costata la partita appena terminata per l'assoluta inadeguatezza dell'amica della sua mamma, ma contava di rientrare per la partita successiva. In quel caso sarebbe cambiata la musica per i nostri avversari. Allegri e fiduciosi ci salutammo dandoci appuntamento alla settimana successiva quando avremmo giocato contro San Lazzaro.
Le cose però non andarono proprio come avevamo sperato nella chiacchierata della settimana precedente. La prima notizia negativa era che la spalla in realtà le faceva ancora male e non riusciva a spingere il servizio. La seconda notizia negativa era che la ragazza era mancina e questo mi costringeva a giocare a destra. Io non ero tennisticamente adeguato a giocare a destra. Rispondere di dritto incrociato, o peggio di rovescio da destra, mi risultava quasi impossibile. Una tara tecnica irrisolta, perché da ragazzini tutti gradiscono giocare a destra per poter dar sfogo al loro colpo migliore, il dritto. Io invece mi trovavo a mio agio a sinistra e quindi ero il compagno preferito dai dritto-dipendenti. Esclusi tutti i mancini. L'effetto immediato fu che feci fare dei figuroni al giocatore avversario di turno a rete quando rispondevo. Gli servivo su un piatto di argento palle comode ed intrinsecamente predisposte per essere utilizzate per chiudere il punto attraverso più o meno eleganti colpi di volo. Questo aumentò la mia depressione e non fui che una pallida ombra dell'onesto giocatore della settimana precedente. Ero triste anche per la ragazza che giocava con me che mi pareva più sofferente per l'impossibilità della nostra coppia di reagire all'inerzia della partita che per il dolore alla spalla. Perdemmo in due rapidissimi set ed uscendo dal campo valutammo di comune accordo che per la settimana successiva io non sarei stato l'uomo del doppio misto. Avrei sostituito uno dei titolari del doppio maschile senior e la persona che sostituivo io avrebbe fatto il doppio misto. Fatto lo scambio tutti contenti per l'apparente soluzione perfetta. In realtà per me le cose, nella migliore delle ipotesi, non miglioravano: avrei comunque giocato a destra perché nel doppio a sinistra gioca sempre il più forte, a meno che tra i due non vi sia un mancino. Stavo in rapida sequenza vivendo entrambe le condizioni.
In realtà le cose peggiorarono di molto e la settimana successiva la partita per me fu un vero incubo. Ero "congelato" nel lato destro del campo e pure "congelato" dal compagno non soddisfatto dal mio rendimento. Io mi facevo piccolo/piccolo per garantirgli un maggior campo di azione, ma lui non si faceva carico di prendersi la quota di lavoro in più. Allora vai a quel paese, pensai, accontentati di come gioco e non rompermi le scatole. Invece lui non si accontentava e rompeva le scatole. È possibile che questo atteggiamento "ostile" favorì un miglioramento del mio rendimento e dopo aver perso il primo set riuscimmo a conquistare il secondo. Poi, per come accade spesso nel tennis, fu il mio compagno a perdersi per strada e, nonostante io avessi raggiunto la decenza, la mia crescita non compensava il suo calo e perdemmo il terzo set. Alla fine le scatole si erano comunque rotte a tutti ed io comunicai al capitano, incidentalmente mio padre, che non sarei stato disponibile a giocare le rimanenti partite delle Quartieriadi. Dimissioni da tappabuchi irrevocabili: gioco, partita, incontro.
Però nell'estate del 1990 un amico mi convince a riprendere in mano la racchetta con una certa serietà. Lui sta ancora pensando ad un paio di saetta che vide arrivare nel suo campo da un braccino, tutto sommato esile come il mio, quattro estati addietro. È a tutt'oggi l'unico e vero fan, seppure immeritato, che io abbia mai avuto :-)
Mi dice che il primo appuntamento è il torneo di Palagano, poi organizzeremo la stagione invernale, ma a settembre verificheremo le nostre possibilità in pianura con l'ultimo torneo estivo a Bastiglia.
A Palagano le cose non vanno bene. Quell'anno arriva un ragazzo da Torino che deve raccogliere punti utili al passaggio alla categoria superiore ed ha deciso di farlo nei tornei dell'Appennino modenese e bolognese. Detto tra noi il torneo lo ha vinto esattamente quando si iscrive nel tabellone, perché è nettamente superiore ad ognuno degli altri partecipanti. Noi altri sapevamo che quell'anno si giocava per arrivare in finale e provare a perdere con dignità. Io passo il primo turno senza giocare per effetto di un tabellone zoppo, poi vinco il secondo turno senza infamia e senza lode ed arrivo al terzo turno, che sono poi i quarti di finale. Giocherò con un mio amico. Il sorteggio è stato infame, perché quattro e cinque anni prima ci eravamo scontrati in finale e semifinale. Entrambe le volte avevo vinto io, ma sempre con fatica. Quest'anno invece le cose saranno molto diverse. Partita che definire incolore la esalterebbe. Praticamente è come se non fossi sceso in campo. Non ho avuto nemmeno un momento in cui ho potuto sperare di essere in corsa per la vittoria. Depressione totale e globale. Ricordo uno scambio tirato che concludo con un rovescio lungolinea vincente. Avrebbe dovuto galvanizzarmi, invece perderò i successivi 3 giochi senza nessuna reazione. Forse è meglio tornare dalla bambina ambidestra e metterci tutto l'impegno per farle comprendere cosa si intende per rovescio. Prendo da parte l'amico che mi ha convinto e gli dico di non essere tanto sicuro di voler andare a Bastiglia. La sua risposta è netta: non devo rompere le scatole, mi devo allenare e che cavolo pretendo visto che sono 3 anni che non gioco!
Va bene, effettivamente c'è una logica in queste parole ed andiamo pure a Bastiglia. Primo turno imbarazzante, il mio avversario ha difficoltà a reggere gli scambi di riscaldamento. Mi devo impegnare per evitare di maramaldeggiare nel corso della partita. Il secondo turno è più equilibrato, ma il mio braccio gira proprio forte. Riesco a fare cose che non ricordavo più di avere nel repertorio. L'avversario è un giocatore diligente, che fa il suo compitino, ma oggi non gli può bastare per starmi vicino. Vittoria senza patema e, sorpresa, congratulazioni del presidente del circolo che mi ha visto. Io nemmeno sapevo chi fosse quel signore robusto a bordo campo. Ora è qui con me per farmi i complimenti. Addirittura i complimenti? Il braccio andava forte, ma non è esattamente il mio miglior tennis, mi servirebbe più allenamento... Il presidente mi chiede come è andata la stagione estiva. Resta perplesso (o forse turbato?) quando gli dico che ho vinto una sola partita nel torneo di Palagano. Comunque sia mi dà appuntamento a domani dicendo che non perderà la partita.
Il giorno dopo mi trovo a giocare con un ragazzo che ha un paio di anni più di me. Anche lui quest'anno non ha giocato ed è arretrato di livello. Gioca a Bastiglia perché è di queste parti. Mentre scendiamo in campo colgo dei commenti di alcune persone che incrociamo sul vialetto e che evidentemente hanno visto la mia partita del giorno prima. Stanno bisbigliando tra loro e parlano di me. Chissà cosa dovranno dirsi, ma poi vedo che si stanno portando tutti verso il nostro campo. Accidenti, ma come mai questa attrazione? È inspiegabile! Lì c'è anche il presidente che con un gran sorriso ci saluta. Boh, non ero stato mai a Bastiglia, ma sono molto gentili... "Io speriamo che non li deludo". Ed invece deludo.
Inizio la partita guardingo, studio l'avversario: il dritto è pesante, molto più del mio, il servizio è potente, ma piatto, il rovescio mi sembra un colpo che usa solo di rimessa, a rete non viene mai. Siamo 2 pari e adesso devo mettere a frutto le mie sensazioni impostando una strategia di gioco adeguata. Reggere il dritto ed il servizio sfruttando la sua forza, non dargli mai certezze sulle mie iniziative, non dargli punti di riferimento, cambiare il ritmo per evitare un confronto sulla forza e regolarità del suo dritto e chiudere il cerchio sfondando sul rovescio. Fattibile, anche perché se il braccio gira come ieri siamo proprio a cavallo, ma cosa succede? In un "momento" siamo 6 a 2 e 2 a 0 per l'avversario. Non so capacitarmi, è come se mi fossi allontanato dal campo e qualcun altro avesse continuato a giocare al mio posto per 6 giochi che non ricordo. Sento tra il pubblico mio padre che grida "Maccio, andiamo!". Sono in posizione per ricevere il servizio, mi sollevo, alzo la mano per fermare e per scusarmi con l'avversario e grido "a casa?". La cosa fa ridere tutti, anche il mio avversario ride e forse per quello commette doppio fallo. Al cambio campo mi scuso, non era mia intenzione fargli lo sgambetto, ma lui sorride, è tranquillo. Lui ricorda tutta la partita, non ha 6 giochi di "vuoto" e sa come portarla a casa. Il secondo set finirà 6 a 3 senza nessun sussulto. Esco dal campo ed ancora una volta la sensazione è come se non ci fossi mai entrato.
Il presidente del circolo, quando esco dagli spogliatoi, mi avvicina e mi dice di seguirlo in ufficio che mi consegna il premio. Non sapevo che ai quarti avrei vinto qualcosa: cosa? Un utilissimo spremiagrumi elettrico. Peraltro ancora utilizzato dai miei. Mentre me lo consegna il presidente è visibilmente dispiaciuto, quasi triste. Mi dice che a tutti può capitare una giornata storta, ma secondo lui c'è del potenziale da valorizzare nel mio gioco. Mi esorta a tornare il prossimo anno che sarò il benvenuto. Lo ringrazio, sentitamente, ma da un momento all'altro mi aspetto l'uscita di qualcuno da dietro un angolo che mi grida: "SCHERZOOOO!!!".
Non succede, allora vado a mangiare la pizza con l'amico che mi ha trascinato in questo irreale ritorno al tennis. Ci sarà tempo per organizzare il calendario di allenamenti e i tornei. Vedrai, abbiamo margini di miglioramento. Abbiamo tutto l'inverno davanti, ci impegneremo!
Ma come è andata a finire? A dicembre di quell'anno sono partito per il militare. Il rientro al tennis attivo è stato definitivamente chiuso per un improrogabile impegno con lo Stato italiano. Con buona pace del presidente del tennis club di Bastiglia ;-)
Quest'ultimo paese si era dimostrato tanto generoso nei miei confronti che in quegli anni mi adottava come maestro per i villeggianti nel periodo che va da luglio ad agosto. Certo generosità interessata, visto che non si erano trovati altri volontari. Io, riconoscente, alla mia prima esperienza di potenziale forgiatore di anime tennistiche mi trovo con grande imbarazzo a fronteggiare la situazione inaspettata: come spiegare il concetto di rovescio ad una bambina che piuttosto che colpire di rovescio cambiava mano e faceva il dritto con il braccio sinistro? Peraltro con risultati comparabili a quelli ottenuti con il braccio destro! :-/ Questo rese il mio addio al tennis meno traumatico, perché il dilemma filosofico ha il pregio di tenere viva la passione per l'oggetto che stai scrutando: il tennis.
I miei risultati, sportivi e filosofici, erano quindi scesi a poco più che il nulla, che coincideva con il "buco nero tennistico" che ingoia le racchette, i calzoncini e le palline, ma salva e lascia libere nell'"Universo della cameretta" magliette e scarpette, perché ancora utilizzate per i momenti di socializzazione anche privi di tennis. Questa pace dei sensi da assenza all'agonismo tennistico ti pervade anche quando le sensazioni del braccio fossero assai positive. Sensazioni che negli anni precedenti ti avrebbero galvanizzato per la partita successiva ora ti convincono che, seppur allentate le corde, non val la pena di incordare di nuovo la racchetta perché sarai comunque in grado di reggere gli scambi con la bimba ambidestra con la quale non riesci a venire a capo di capitali dualismi storici, filosofici, politici, morali: dritto/rovescio, destra/sinistra, giusto/sbagliato.
Nota.
Il braccio è solo una componente e non è necessariamente la più importante. Aaarrrggghhhh, eresia!!! Non voglio credere di aver scritto e non solo pensato cotanta blasfema affermazione. Però, però, però,... gli automatismi a tua insaputa e senza far rumore entrano pesantemente nel tuo gioco e diventano ancore di salvezza quando, nel bel mezzo di un match, ti trovi spaesato e senza certezze sul come venire a capo del ragazzo che si trova dall'altra parte della rete. E per fortuna che ti puoi aggrappare al colpo che ti viene in automatico senza doverci pensare. Non dover pensare ti fa rifiatare, ti garantisce una pausa mentale utilissima per risparmiare energie per lo sprint che dovrai fare per conquistare i punti più importanti, che non sono necessariamente gli ultimi. Infatti non si spiegherebbe come alcuni giocatori siano diventati addirittura numero 1 al mondo senza poter utilizzare la giustificazione di un serbatoio di colpi automatici più capiente rispetto all'eclettismo di campioni più campioni, ma con serbatoi di automatismi più limitati. Volete qualche nome? :-)
Nell'estate del 1986 fui chiamato alle Quartieriadi dal capitano non giocatore, incidentalmente mio padre, come soluzione tappabuchi. Escluso qualsiasi tipo di nepotismo, uscito dal gruppo under 16 non ero competitivo con i titolari senior e quindi non c'era posto per me in squadra, se non come rimpiazzo occasionale. E rimpiazzo fu.
Mi ritrovai in un doppio misto contro il quartiere Buon Pastore. Vinsi la partita da solo facendo coppia con una signora di una sessantina di anni che non aveva la minima idea di cosa significasse giocare a tennis con lo scopo di fare punto.
Non c'era né malizia, né cinismo nella costruzione del suo gioco, lei interpretava il tennis come un delizioso passatempo il cui obiettivo era scambiarsi amorevolmente la palla. Pareva dire "Gradisce ancora?", aspettandosi come risposta "O certo, grazie!", per proseguire con un interlocutorio "Ma si serva, si serva, non faccia complimenti..." che portava direttamente al punto di partenza. Questa dialettica circolare però non si addice ad un campo da tennis dove si è più rudi, meno gentili e si tende a portare a termine lo scambio, possibilmente a proprio vantaggio, con ogni mezzo.
Il suo comportamento pareva invece sintonizzato sull'obiettivo di garantire la prosecuzione dello scambio, possibilmente ad oltranza, sulla base di uno sviluppo estetico dei necessari sincronismi dei movimenti dei 4 atleti in campo. Peraltro, con profondo rammarico della mia compagna, io non riuscivo nemmeno a darle del tu, cosa che rendeva ancora meno gradevole, dal suo punto di vista, lo sviluppo della nostra coppia assortita casualmente ed all'ultimo minuto.
Mi ero fatto l'idea che per lei il colpo risolutore, quello che impediva agli avversari di rispondere, sembrasse offensivo, scortese e non facesse parte della sua filosofia tennistica. Quindi non lo infliggeva al ragazzo ed alla ragazza che si trovavano dall'altra parte della rete se non costretta dagli eventi. E comunque nella malaugurata ipotesi in cui si manifestasse questa soluzione terminale, la signora appariva visibilmente dispiaciuta. Non riusciva a celare il travaglio interiore a cui la vita reale su un campo da tennis la conduceva. Percepivo chiaramente che per lei discostarsi in modo tanto traumatico dall'idea gioiosa ed idilliaca di un tennis "innocuo e senza dolore" fosse contrario alla cortesia. "Signori, accomodatevi, il the è servito!".
Era la persona con il minor senso di agonismo presente in polisportiva in quel momento. Quando vagolava per il campo in modo agonisticamente improduttivo, cercando di collocarsi nella posizione esteticamente più consona allo sviluppo della trama di gioco, era evidente a tutti che non sarebbe mai stata in grado, in nessun momento, di maturare una reale e concreta volontà di fare il punto.
Per me, che da questo punto di vista ero secondo solo a lei, la questione nascondeva una brutta notizia: io e lei ci trovavamo entrambi dalla stessa parte del campo ed almeno uno dei due avrebbe dovuto fare la parte del "cattivo", se volevamo vincere. Era quindi palese che avevo vinto io il sorteggio del cattivo di San Faustino. Almeno ci dovevo provare.
E cattivo fu! Le rubai inopinatamente tutto lo spazio che potevo, in ogni occasione possibile, con la maggior rapidità. Cercavo di non risultare eccessivamente insolente, ma ad ogni azione correvo il rischio massimo per il bene supremo: conquistare il punto. Lei ebbe il pregio di comprendere, nonostante la sua filosofia, il perché di queste mie arroganti invasioni: smontavo sistematicamente l'estetica del suo doppio a beneficio di una enfatizzazione di bruta prova di forza, ma in fondo ero un buon giovane e mi perdonava. Quindi contribuì a suo modo anche lei rinchiudendosi dentro al suo angolo e, nonostante la sua concezione del gioco fosse molto lontana dal cercare di vincere, alla fine "insieme" uscimmo dal campo con il risultato della vittoria.
Mentre stavo sistemando le racchette mi si presentò una ragazza che era tra il pubblico: voleva farmi i complimenti. Uau! Non mi era mai successo! Essere "cattivi" conduceva a questi risultati? Ovviamente no e lo capii 30 secondi dopo. Questa ragazza avrebbe dovuto fare coppia con me in questo doppio, ma aveva dato forfait per un dolore alla spalla ed aveva rimediato procurando un'amica della mamma. Comprendeva l'estrema fatica che mi era costata la partita appena terminata per l'assoluta inadeguatezza dell'amica della sua mamma, ma contava di rientrare per la partita successiva. In quel caso sarebbe cambiata la musica per i nostri avversari. Allegri e fiduciosi ci salutammo dandoci appuntamento alla settimana successiva quando avremmo giocato contro San Lazzaro.
Le cose però non andarono proprio come avevamo sperato nella chiacchierata della settimana precedente. La prima notizia negativa era che la spalla in realtà le faceva ancora male e non riusciva a spingere il servizio. La seconda notizia negativa era che la ragazza era mancina e questo mi costringeva a giocare a destra. Io non ero tennisticamente adeguato a giocare a destra. Rispondere di dritto incrociato, o peggio di rovescio da destra, mi risultava quasi impossibile. Una tara tecnica irrisolta, perché da ragazzini tutti gradiscono giocare a destra per poter dar sfogo al loro colpo migliore, il dritto. Io invece mi trovavo a mio agio a sinistra e quindi ero il compagno preferito dai dritto-dipendenti. Esclusi tutti i mancini. L'effetto immediato fu che feci fare dei figuroni al giocatore avversario di turno a rete quando rispondevo. Gli servivo su un piatto di argento palle comode ed intrinsecamente predisposte per essere utilizzate per chiudere il punto attraverso più o meno eleganti colpi di volo. Questo aumentò la mia depressione e non fui che una pallida ombra dell'onesto giocatore della settimana precedente. Ero triste anche per la ragazza che giocava con me che mi pareva più sofferente per l'impossibilità della nostra coppia di reagire all'inerzia della partita che per il dolore alla spalla. Perdemmo in due rapidissimi set ed uscendo dal campo valutammo di comune accordo che per la settimana successiva io non sarei stato l'uomo del doppio misto. Avrei sostituito uno dei titolari del doppio maschile senior e la persona che sostituivo io avrebbe fatto il doppio misto. Fatto lo scambio tutti contenti per l'apparente soluzione perfetta. In realtà per me le cose, nella migliore delle ipotesi, non miglioravano: avrei comunque giocato a destra perché nel doppio a sinistra gioca sempre il più forte, a meno che tra i due non vi sia un mancino. Stavo in rapida sequenza vivendo entrambe le condizioni.
In realtà le cose peggiorarono di molto e la settimana successiva la partita per me fu un vero incubo. Ero "congelato" nel lato destro del campo e pure "congelato" dal compagno non soddisfatto dal mio rendimento. Io mi facevo piccolo/piccolo per garantirgli un maggior campo di azione, ma lui non si faceva carico di prendersi la quota di lavoro in più. Allora vai a quel paese, pensai, accontentati di come gioco e non rompermi le scatole. Invece lui non si accontentava e rompeva le scatole. È possibile che questo atteggiamento "ostile" favorì un miglioramento del mio rendimento e dopo aver perso il primo set riuscimmo a conquistare il secondo. Poi, per come accade spesso nel tennis, fu il mio compagno a perdersi per strada e, nonostante io avessi raggiunto la decenza, la mia crescita non compensava il suo calo e perdemmo il terzo set. Alla fine le scatole si erano comunque rotte a tutti ed io comunicai al capitano, incidentalmente mio padre, che non sarei stato disponibile a giocare le rimanenti partite delle Quartieriadi. Dimissioni da tappabuchi irrevocabili: gioco, partita, incontro.
Però nell'estate del 1990 un amico mi convince a riprendere in mano la racchetta con una certa serietà. Lui sta ancora pensando ad un paio di saetta che vide arrivare nel suo campo da un braccino, tutto sommato esile come il mio, quattro estati addietro. È a tutt'oggi l'unico e vero fan, seppure immeritato, che io abbia mai avuto :-)
Mi dice che il primo appuntamento è il torneo di Palagano, poi organizzeremo la stagione invernale, ma a settembre verificheremo le nostre possibilità in pianura con l'ultimo torneo estivo a Bastiglia.
A Palagano le cose non vanno bene. Quell'anno arriva un ragazzo da Torino che deve raccogliere punti utili al passaggio alla categoria superiore ed ha deciso di farlo nei tornei dell'Appennino modenese e bolognese. Detto tra noi il torneo lo ha vinto esattamente quando si iscrive nel tabellone, perché è nettamente superiore ad ognuno degli altri partecipanti. Noi altri sapevamo che quell'anno si giocava per arrivare in finale e provare a perdere con dignità. Io passo il primo turno senza giocare per effetto di un tabellone zoppo, poi vinco il secondo turno senza infamia e senza lode ed arrivo al terzo turno, che sono poi i quarti di finale. Giocherò con un mio amico. Il sorteggio è stato infame, perché quattro e cinque anni prima ci eravamo scontrati in finale e semifinale. Entrambe le volte avevo vinto io, ma sempre con fatica. Quest'anno invece le cose saranno molto diverse. Partita che definire incolore la esalterebbe. Praticamente è come se non fossi sceso in campo. Non ho avuto nemmeno un momento in cui ho potuto sperare di essere in corsa per la vittoria. Depressione totale e globale. Ricordo uno scambio tirato che concludo con un rovescio lungolinea vincente. Avrebbe dovuto galvanizzarmi, invece perderò i successivi 3 giochi senza nessuna reazione. Forse è meglio tornare dalla bambina ambidestra e metterci tutto l'impegno per farle comprendere cosa si intende per rovescio. Prendo da parte l'amico che mi ha convinto e gli dico di non essere tanto sicuro di voler andare a Bastiglia. La sua risposta è netta: non devo rompere le scatole, mi devo allenare e che cavolo pretendo visto che sono 3 anni che non gioco!
Va bene, effettivamente c'è una logica in queste parole ed andiamo pure a Bastiglia. Primo turno imbarazzante, il mio avversario ha difficoltà a reggere gli scambi di riscaldamento. Mi devo impegnare per evitare di maramaldeggiare nel corso della partita. Il secondo turno è più equilibrato, ma il mio braccio gira proprio forte. Riesco a fare cose che non ricordavo più di avere nel repertorio. L'avversario è un giocatore diligente, che fa il suo compitino, ma oggi non gli può bastare per starmi vicino. Vittoria senza patema e, sorpresa, congratulazioni del presidente del circolo che mi ha visto. Io nemmeno sapevo chi fosse quel signore robusto a bordo campo. Ora è qui con me per farmi i complimenti. Addirittura i complimenti? Il braccio andava forte, ma non è esattamente il mio miglior tennis, mi servirebbe più allenamento... Il presidente mi chiede come è andata la stagione estiva. Resta perplesso (o forse turbato?) quando gli dico che ho vinto una sola partita nel torneo di Palagano. Comunque sia mi dà appuntamento a domani dicendo che non perderà la partita.
Il giorno dopo mi trovo a giocare con un ragazzo che ha un paio di anni più di me. Anche lui quest'anno non ha giocato ed è arretrato di livello. Gioca a Bastiglia perché è di queste parti. Mentre scendiamo in campo colgo dei commenti di alcune persone che incrociamo sul vialetto e che evidentemente hanno visto la mia partita del giorno prima. Stanno bisbigliando tra loro e parlano di me. Chissà cosa dovranno dirsi, ma poi vedo che si stanno portando tutti verso il nostro campo. Accidenti, ma come mai questa attrazione? È inspiegabile! Lì c'è anche il presidente che con un gran sorriso ci saluta. Boh, non ero stato mai a Bastiglia, ma sono molto gentili... "Io speriamo che non li deludo". Ed invece deludo.
Inizio la partita guardingo, studio l'avversario: il dritto è pesante, molto più del mio, il servizio è potente, ma piatto, il rovescio mi sembra un colpo che usa solo di rimessa, a rete non viene mai. Siamo 2 pari e adesso devo mettere a frutto le mie sensazioni impostando una strategia di gioco adeguata. Reggere il dritto ed il servizio sfruttando la sua forza, non dargli mai certezze sulle mie iniziative, non dargli punti di riferimento, cambiare il ritmo per evitare un confronto sulla forza e regolarità del suo dritto e chiudere il cerchio sfondando sul rovescio. Fattibile, anche perché se il braccio gira come ieri siamo proprio a cavallo, ma cosa succede? In un "momento" siamo 6 a 2 e 2 a 0 per l'avversario. Non so capacitarmi, è come se mi fossi allontanato dal campo e qualcun altro avesse continuato a giocare al mio posto per 6 giochi che non ricordo. Sento tra il pubblico mio padre che grida "Maccio, andiamo!". Sono in posizione per ricevere il servizio, mi sollevo, alzo la mano per fermare e per scusarmi con l'avversario e grido "a casa?". La cosa fa ridere tutti, anche il mio avversario ride e forse per quello commette doppio fallo. Al cambio campo mi scuso, non era mia intenzione fargli lo sgambetto, ma lui sorride, è tranquillo. Lui ricorda tutta la partita, non ha 6 giochi di "vuoto" e sa come portarla a casa. Il secondo set finirà 6 a 3 senza nessun sussulto. Esco dal campo ed ancora una volta la sensazione è come se non ci fossi mai entrato.
Il presidente del circolo, quando esco dagli spogliatoi, mi avvicina e mi dice di seguirlo in ufficio che mi consegna il premio. Non sapevo che ai quarti avrei vinto qualcosa: cosa? Un utilissimo spremiagrumi elettrico. Peraltro ancora utilizzato dai miei. Mentre me lo consegna il presidente è visibilmente dispiaciuto, quasi triste. Mi dice che a tutti può capitare una giornata storta, ma secondo lui c'è del potenziale da valorizzare nel mio gioco. Mi esorta a tornare il prossimo anno che sarò il benvenuto. Lo ringrazio, sentitamente, ma da un momento all'altro mi aspetto l'uscita di qualcuno da dietro un angolo che mi grida: "SCHERZOOOO!!!".
Non succede, allora vado a mangiare la pizza con l'amico che mi ha trascinato in questo irreale ritorno al tennis. Ci sarà tempo per organizzare il calendario di allenamenti e i tornei. Vedrai, abbiamo margini di miglioramento. Abbiamo tutto l'inverno davanti, ci impegneremo!
Ma come è andata a finire? A dicembre di quell'anno sono partito per il militare. Il rientro al tennis attivo è stato definitivamente chiuso per un improrogabile impegno con lo Stato italiano. Con buona pace del presidente del tennis club di Bastiglia ;-)