Il matematico indiano
Autore: David Leavitt
Giudizio: ***
Apologia di un matematico
Autore: Godfrey Harold Hardy
Giudizio: ***
David Leavitt ci introduce ad 1, 2, 3, 4,... infinite (?) storie tra il romantico ed il tragico avvolte tra storia, leggenda e romanzo. Cosa sia vero e cosa sia solo verosimile Leavitt lo indica
sommariamente nella postfazione, ma la cosa importa poco. L'autore scrive l'amore per la matematica intesa come materia che richiede rigore e disciplina,
ma che nei suoi approfondimenti più teorici ed astratti sui numeri, ed in particolare sui numeri primi, è una forma d'arte, tanto più perfetta quanto meno è utile all'umanità.
Il romanzo affronta anche il tema dell'amore per l'uomo e per la donna. Questo amore viene affrontato in tutte le combinazioni possibili, per allusione o pratica reale, che sia etero/omosessuale,
che sia platonico/carnale. Lo si descrive come un'incidentale inclinazione umana che si manifesta nella creatura più pura ed onesta che si possa immaginare come Anne Neville, o che si manifesta
nella creatura più disincantata e sfrontata come Littlewood.
Il libro narra anche della paura per la guerra, quella grande guerra (siamo a cavallo tra il '15 ed il '18) che anche a Cambridge divise il corpo docente sulla necessità di evitarla o sulla
ineluttabilità di praticarla.
Infine si indugia sul genio come manifestazione concreta e tangibile di una mente umana che sovrasta tutte le altre menti per la qualità dei suoi pensieri. E se ne parla in un luogo ed in un
momento storico dove il genio appare come elemento scontato, prossimo all'essere comune, talmente comune che non ci si bada. Tra i protagonisti e coprotagonisti di questo romanzo si annoverano
Hardy, Bertrand Russell, J. M. Keynes, Ludwig Wittgenstein, Bohr,... hobby che li accomuna è essere geni.
Il protagonista del romanzo, a dispetto del titolo, non è un matematico indiano, ma un matematico britannico, Godfrey Harold Hardy. Si potrebbe scrivere il Matematico con la M maiuscola,
professore a Cambridge, una mente eccelsa indicato come colui che dimostrerà l'ipotesi di Riemann. Hardy si imbatte nella lettere di un giovane indiano, tale Ramanujan, che non esita a definire
immediatamente un genio in quanto, pur essendo un autodidatta, ha la capacità di afferrare concetti astratti anche in assenza di una formazione adeguata. Questo ragazzo indiano ha una visione
matematica che gli consente di arrivare a livelli non spiegabili se non come manifesta estrinsecazione del genio. Hardy capisce immediatamente che solo lui potrebbe dimostrare l'ipotesi di
Riemann, solo che Ramanujan non sa nemmeno cosa sia una dimostrazione. Al genio indiano manca il rigore e la necessaria formalità che Hardy cercherà di trasmettere. Questo è l'inizio della storia
e da qui si incroceranno le infinite (quasi, perché il romanzo ha un limite) storie che scorrono in questo libro.
Per chi è interessato consiglio anche la lettura del saggio di Hardy, scritto molti anni dopo il periodo descritto in questo romanzo, dal titolo "Apologia di un matematico". Il matematico
affronta aspetti a suo avviso tralasciati nella descrizione comune dell'impegno di un matematico e tutto a difesa della sua intera vita di studioso. Afferma il concetto di estetica della
matematica, il rapporto tra teoria e applicazione pratica e l'inutilità come sublimazione della matematica, concetto avverso alla conclamata ed evidente utilità delle applicazioni della
matematica.
Nell'apologia emerge un elemento che viene ricordato anche nel romanzo "Il matematico indiano": per poter contribuire con efficacia alla ricerca matematica devi essere giovane. Invecchiando perdi
la magia ed il potere visionario che ti consente di esplorare e produrre l'arte della matematica. Arte che è patrimonio di pochi, pochissimi conoscitori che la possono comprendere. Hardy afferma,
non come elemento deprecabile, ma come elemento di vanto, che "Io non ho mai fatto niente di 'utile'. Nessuna mia scoperta ha fatto o potrebbe fare, direttamente o indirettamente, nel bene o nel
male, la minima differenza per la piacevolezza del mondo". Al di là di queste valutazioni un altro matematico, l'ungherese Paul Erdős, dichiarò in una intervista che il più grande contributo alla
matematica di Hardy è stato la scoperta di Ramanujan, e paragonò Ramanujan ai giganti della matematica, come Eulero e Jacobi, in termini di genio.