E' da parecchio tempo (circa 20 anni) che assistiamo ad uno stravolgimento degli assetti partitici che storicamente hanno contraddistinto la vita politica delle Repubblica italiana nei suoi primi
40 anni di vita.
Ricordo che a metà anni '80 ci fu l'aggregazione della Lega lombarda (oggi Lega nord) che, dapprima con il senatùr Bossi, poi con più rappresentanti, conquistò seggi nel parlamento italiano. Questo
partito, poi definito di lotta e di governo, cercò anche di costruire un "antiparlamento" a Mantova (come un antipapa) che per la sua stessa esistenza negava il potere del parlamento italiano.
Ricordo che tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 si giustificava la ricollocazione dei partiti politici con la caduta dei regimi comunisti e la fine delle ideologie e delle vecchie
contrapposizioni. Oggi siamo consapevoli che, anche in assenza delle vecchie contrapposizioni, le ideologie non sono finite, anzi in alcuni casi si sono addirittura rafforzate. Pensiamo all'impronta
liberista o neoliberista che le società capitaliste occidentali hanno acriticamente assecondato se non incentivato conducendo economie anche relativamente floride al disastro (vedi cosa è accaduto in
Argentina).
Ricordo che tra il '92 ed il '93 il vento di tangentopoli spazzò l'intero arco parlamentare e costrinse alla "chiusura" partiti storici di grande tradizione, come il PSI, il PLI, il PRI, la DC.
Ricordo che a seguito di questo sconquasso si realizzò il partito dell'unto dal Signore, colui che ha incarnato la visione aziendalistica e personalistica della politica e della gestione della cosa
pubblica. La discesa in campo di Berlusconi catalizzò i militanti ed i simpatizzanti di tanti partiti politici implosi con tangentopoli, pur non essendo un partito politico tradizionale, ma un
partito azienda.
Il suo presidente e amministratore delegato era ed è tutt'oggi Silvio Berlusconi. Le dinamiche di questo movimento/partito però non sono mai state assimilabili a quelle dei partiti politici che
elaborano al loro interno una dialettica di confronto. Il partito azienda, per definizione, ammette come linea politica solo la voce del padrone.
In tutte queste vicende si è manifestato un generale disinnamoramento del corpo elettorale alla politica. Un dilagante e preoccupante qualunquismo ha rinvigorito quei partiti che fanno del populismo
la loro proposta politica ed ha contribuito ad identificare come "vecchi arnesi" della politica quei partiti che invece costruiscono la loro linea politica con un democratico confronto interno e si
identificano con valori o ideologie non piegabili al pragmatismo elettorale del momento.
In questo contesto oggi leggo su "il manifesto" e sul blog di Franco Carlini la descrizione di un articolo scientifico di Vittorio Mete dell'Università
di Firenze. In esso viene identificato un paradosso della vita politica di tutti i paesi
occidentali che si può sintetizzare come segue: "da un lato, la democrazia si estende e si consolida; dall’altro, i cittadini degli stati democratici sono sempre più
insoddisfatti per il funzionamento delle loro democrazie. Si tratta della cosiddetta sindrome del cittadino critico; un cittadino cioè che non mette in discussione il valore
della democrazia, ma è insoddisfatto del rendimento del sistema democratico. Tale sindrome, peraltro, non sembra avere una natura passeggera e promette di diventare un aspetto fisiologico della vita
democratica".
Sono in larga parte i cittadini insoddisfatti coloro che sostengono partiti populisti ed apparentemente antisistema (questa caratteristica sta nel dna di partiti come Lega nord e Forza Italia).
Questi cittadini individuano nei partiti politici i mali e la degenerazione della politica e li rendono l'oggetto causa della loro insoddisfazione. Da qui nasce la disaffezione e addirittura
l'avversione nei confronti dei partiti e della politica.
Nella sua analisi Mete distingue tra un'avversione consapevole, praticata da cittadini che comunque sono politicamente attivi ed informati, ed un'avversione passiva, incarnata da cittadini poco
interessati alle vicende ed alle dinamiche della politica. Ma mentre i primi sono comunque soggetti che, pur non riconoscendosi nelle formazioni politiche che caratterizzano il panorama politico
italiano, vi partecipano attivamente tramite movimenti ed organizzazioni extraparlamentari, i secondi invece sono quelli che vedono la politica ed i partiti come un'inutile elemento che caratterizza
la nostra società.
Questa situazione a mio avviso è assai pericolosa in quanto rischia di trascinarci in uno stato democratico dove una minoranza sceglie per una maggioranza, sovvertendo nei fatti ciò che la democrazia
dovrebbe invece garantire.